Opera Romana Pellegrinaggi/Cammino di Sant'Agostino — English @ Weblate: Santa Maria in Cosmedin

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Story_I.PSR_78.CSR_0.Content_1	Quando venne lapidato Stefano, il primo martire per il nome di Cristo, era presente, in prima fila, anche Saulo e s’immedesimava tanto nelle persone dei lapidatori, che non si sarebbe saziato neppure colpendolo con le sue proprie mani. Per trovarsi infatti nelle mani di tutti i lapidatori, aveva cura delle vesti di tutti, portando loro aiuto, e si faceva più accanito che non gettando pietre personalmente. [...]
Story_I.PSR_78.CSR_0.Content_2	Fu gettato a terra dalla voce di Cristo che veniva dal cielo e, nel ricevere il divieto di perseguitare, cadde sulla sua faccia; si doveva prima prostrare e poi risollevarsi; prima degno di castigo, poi di salvezza. Cristo infatti poteva vivere in lui solo dopo che fosse stato abbattuto quel male che era stato tutta la sua vita. Dunque, una volta atterrato, che cosa ascoltò? <CSR_1:Content_0>Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?</CSR_1:Content_0>
Story_I.PSR_78.CSR_2.Content_1	Trovandosi le membra ancora sulla terra, il Capo faceva risuonare dal cielo la sua voce, e non per dire: <CSR_3:Content_0>Perché perseguiti i miei servi?</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0> bensì: </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Perché mi perseguiti?</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> E Saulo: </CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Che vuoi che io faccia?</CSR_7:Content_0><CSR_8:Content_0> È già disposto ad obbedire, chi prima infieriva a perseguitare. È già trasformato da persecutore ad annunziatore, da lupo ad agnello, da nemico a soldato fedele. Fu attento a ciò che era tenuto a fare. Divenne affatto cieco: perché il suo cuore potesse essere illuminato dalla luce interiore, gli fu tolta al momento la luce esteriore; fu sottratta al persecutore per renderla al predicatore. Nondimeno, proprio quando tutto il resto gli era invisibile, egli vedeva Gesù. In tal modo, e precisamente in quella sua cecità, si configurava il mistero dei credenti; infatti chi pone la sua fede in Cristo deve fissarsi in lui come se le altre cose non avessero esistenza, sì che la creatura perda valore e il Creatore invada l’intimo di dolcezza. [...] </CSR_8:Content_0><CSR_9:Content_0>Io gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio nome.</CSR_9:Content_0><CSR_10:Content_0> Dove il terrore ivi la salvezza. Chi agiva contro il nome, patisca per il nome. [...] Ma a quale scopo? Sta’ a sentire proprio colui che pativa: </CSR_10:Content_0><CSR_11:Content_0>Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi</CSR_11:Content_0><CSR_12:Content_0>. [...] Ciò che c’è da soffrire per il nome di Cristo è tollerabile, se può essere superato: se non può esserlo, ha come effetto la partenza da questo mondo. Non annienta, ma affretta. Che cosa affretta? Proprio il premio, proprio la consolazione che, quando sarà venuta, sarà senza fine. L’opera ha un termine, il premio non ha fine.</CSR_12:Content_0>
Story_I.PSR_79.CSR_0.Content_0	Chiesa di Gesù Buon Pastore
Story_I.PSR_80.CSR_0.Content_0	Nel 1934 il beato <CSR_1:Content_0>Don Giacomo Alberione</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0>, Fondatore della Pia Società San Paolo, aderisce alla richiesta del Vicariato di Roma di costruire una chiesa in questo quartiere chiamato “Montagnola di San Paolo”, e nel 1936 ne propone il titolo di «Gesù Buon Pastore».</CSR_2:Content_0>
Story_I.PSR_80.CSR_2.Content_1	Il 10 settembre 1943 ha luogo la storica <CSR_3:Content_0>Battaglia della Montagnola</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>: è il sanguinoso scontro tra le forze dominanti tedesche e la “resistenza” romana (militari come i granatieri, i bersaglieri e i carabinieri, ma anche molta gente del “popolo”) in conseguenza del quale morirono 56 persone (45 militari e 11 civili). La memoria dei “Caduti della Montagnola” è onorata con un parco dedicato proprio dinanzi alla chiesa parrocchiale; del resto Pio XII aveva approvato il titolo di </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Tempio Nazionale dei Caduti</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> all’erigenda Chiesa Parrocchiale.</CSR_6:Content_0>
Story_I.PSR_80.CSR_6.Content_1	Il 10 marzo 1963, la Parrocchia riceve la visita del Santo Papa Giovanni XXIII.
Story_I.PSR_80.CSR_6.Content_2	Ad oggi la parrocchia è affidata al clero secolare della Diocesi di Roma.
Story_I.PSR_81.CSR_0.Content_0	Basilica Regina Apostolorum
Story_I.PSR_82.CSR_0.Content_0	Durante il primo dopoguerra, il beato <CSR_1:Content_0>Don Giacomo Alberione</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0>, fondatore della Famiglia Paolina, aveva in mente di fare edificare un santuario e di dedicarlo a </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>Maria Regina degli Apostoli</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>; si decise, finalmente, nel 1943, quando sul luogo dove oggi sorge l’edificio s’abbatté un bombardamento senza causare nemmeno una vittima: nell’evento ravvisò la protezione della Vergine. Così, finita la guerra e approvato un disegno di Leone Favini, cominciarono i lavori, che si conclusero nel 1954. Vi si trova il collegio internazionale della Società San Paolo; dal 1965 il santuario è sede d’un titolo cardinalizio, mentre dal 1976 è anche sede parrocchiale e dal 1984 basilica minore. L’edificio, ispirato al barocco romano, ha pianta centrale ed è sormontato da una cupola imponente; all’interno, è decorato da una serie d’a</CSR_4:Content_0><CSR_4:Content_1>ffreschi di Antonio Santagata a tema mariano. Vi si conservano le spoglie di don Alberione, Tecla Merlo, delle Figlie di San Paolo, e Giuseppe Timoteo Giaccardo, il primo sacerdote paolino.</CSR_4:Content_1>
Story_I.PSR_83.CSR_0.Content_0	Basilica di San Paolo fuori le Mura
Story_I.PSR_84.CSR_0.Content_0	Come è riferito nelle Confessioni<CSR_2:Content_0>, Agostino, tormentato dalla dissolutezza del suo precedente stile di vita ma non ancora pronto ad abbracciare incondizionatamente il nuovo credo, mentre si trovava in giardino udì una voce che cantando ripeteva “</CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>Prendi e leggi, prendi e leggi</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>”: esortazione che il Santo interpretò come un comando divino ad aprire il libro sacro. Benozzo, fedele al racconto, dipinse Agostino in meditazione sulle Sacre Scritture accompagnato da una fanciulla e da un fanciullo: questo perché il Santo, come egli stesso ebbe a scrivere, non riuscì a capire se la voce che lo esortava alla lettura era maschile o femminile.</CSR_4:Content_0>
Story_I.PSR_84.CSR_4.Content_1	Aperta la Bibbia casualmente alla Lettera di San Paolo ai Romani, Agostino trovò quella certezza che da tempo non aveva trovato altrove.
Story_I.PSR_85.CSR_0.Content_0	Chiesa di Santa Prisca
Story_I.PSR_86.CSR_0.Content_0	Nel IV-V secolo venne eretta una chiesa dedicata alla memoria della martire Prisca, sul luogo di una domus del sec. II, che era forse la residenza di <CSR_1:Content_0>Traiano</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0> prima di diventare imperatore. I coniugi fabbricanti di tende </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>Aquila e Priscilla</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0> avrebbero ri-adattato la domus a “</CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>domus ecclesiae</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0>” per il raduno della comunità cristiana che vi celebrava l’Eucaristia (</CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Rm 16,3-5</CSR_7:Content_0><CSR_8:Content_0>). Officiata fino al sec. IX dai monaci basiliani e successivamente dai benedettini, subentrano i francescani nel 1414 e poi i domenicani nel 1455, ed infine gli agostiniani nel 1600. Con l’occasione del giubileo di quell’anno l’architetto Carlo Lombardo la restaura in stile barocco. Nella cripta vi è un mitreo romano oltre che una cappella paleocristiana. Un capitello-fonte del sec. I commemora il battesimo di Santa Prisca da parte di San Pietro.</CSR_8:Content_0>
Story_I.PSR_87.CSR_0.Content_0	Santa Maria in Cosmedin	Santa Maria in Cosmedin
Story_I.PSR_88.CSR_0.Content_0	Per quanto riguarda le tradizioni che legano l’insegnamento di retorica di Agostino a questo luogo, si veda
Story_I.PSR_89.CSR_0.Content_0	Confessioni (V, 8,14 - 9,17)
Story_I.PSR_90.CSR_0.Content_0	DA CARTAGINE A ROMA E MILANO<CSR_2:Content_0>A Roma; crisi scettica</CSR_2:Content_0>
Story_I.PSR_91.CSR_0.Content_0	Rapporti con i manichei romani
Story_I.PSR_92.CSR_0.Content_0	10. 18. Così mi guaristi da quella infermità e salvasti il figlio dell’ancella tua, allora e per allora fisicamente, per avere poi a chi porgere una salvezza più preziosa e sicura. Però <CSR_1:Content_0>anche a Roma mi tenevo in contatto con quei falsi e fallaci santoni</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0>: non solo cioè con gli uditori, fra i quali si annoverava pure chi mi ospitò malato e convalescente, bensì con gli eletti, come son chiamati. </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>Ero tuttora del parere che non siamo noi a peccare, ma un’altra, chissà poi quale natura pecca in noi. Lusingava la mia superbia l’essere estraneo alla colpa, il non dovermi confessare autore dei miei peccati affinché tu guarissi la mia anima rea di peccato contro di te. Preferivo scusarmi accusando un’entità ignota</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>, posta in me stesso senza essere me stesso, mentre ero un tutto unico e mi aveva diviso contro me stesso la mia empietà. Ed era un peccato più difficile da sanare il fatto che non mi ritenessi peccatore; ed era un’empietà esecrabile il preferire, Dio onnipotente, la tua sconfitta dentro di me, per mia rovina, alla mia sconfitta di fronte a te, per mia salvezza. Non avevi ancora collocato una custodia alla mia bocca e la porta del ritegno sulle mie labbra, affinché il mio cuore non uscisse in parole maligne per offrire scuse da scusare i peccati insieme a uomini che operano il male. </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Perciò me l’intendevo ancora con i loro eletti, sebbene non sperassi più di progredire in quella falsa dottrina.</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> Anzi tenevo ormai con minore impegno e cura la posizione stessa ove avevo deliberato di stare pago, se non trovavo nulla di meglio.</CSR_6:Content_0>
Story_I.PSR_93.CSR_0.Content_0	Misfatti degli studenti romani
Story_I.PSR_94.CSR_1.Content_0	Iniziata volenterosamente l’attività per cui ero venuto a Roma, ossia l’insegnamento della retorica, dapprima adunai in casa mia un certo numero di allievi, ai quali e grazie ai quali cominciai a essere noto; quand’ecco vengo a conoscere altre abitudini di Roma, che non mi affliggevano in Africa.<CSR_2:Content_0> Certo ebbi la conferma che là non si verificavano i famigerati disordini degli scolari depravati. Tuttavia fui anche avvertito che </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>improvvisamente, per non versare il compenso al proprio maestro, i giovani si coalizzano e si trasferiscono in massa presso altri, tradendo così la buona fede e calpestando la giustizia per amore del denaro.</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0> In cuor mio cominciai a odiare anche costoro, ma non di un odio perfetto: probabilmente li odiavo più per il danno che avrei subìto io, che per il modo illegale con cui agivano verso gli altri. Certo è che si tratta di individui immondi, i quali trescano lontano da te, amando un oggetto evanescente, trastullo del tempo, e un lucro fangoso, che a stringerlo insozza le mani; aggrappandosi a un mondo fugace, e disprezzando te, che stabile lanci il tuo richiamo e perdoni la meretrice anima umana che a te ritorna. </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Ora odio questa gente malvagia e corrotta, ma l’amo anche, per correggerla e farle anteporre al denaro la dottrina che impara, e quindi alla dottrina te, Dio, verità, fecondità di bene sicuro e castissima pace; invece allora cercavo di evitare le sue cattiverie per amor mio, anziché di migliorarla per amor tuo.</CSR_5:Content_0>
Story_I.PSR_95.CSR_0.Content_0	Sant’Ambrogio della Massima
Story_I.PSR_96.CSR_0.Content_0	Sorge presso il Portico d’Ottavia, e l’appellativo Massima gli deriva dal vicino sbocco della Cloaca Massima nel Tevere. <CSR_1:Content_0>Fu eretta, secondo la tradizione, sulla casa paterna del santo che qui vi avrebbe vissuto con la madre e la sorella Marcellina, prima di essere trasferito come console a Milano, dove poi divenne vescovo.</CSR_1:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_2.Content_0	La casa fu anche la sede della comunità religiosa della sorella <CSR_3:Content_0>Marcellina</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>, ma successivamente divenne proprietà di tale </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Maxima</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> che, sotto il pontificato di </CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Leone III</CSR_7:Content_0><CSR_8:Content_0> (795-816), vi fece costruire una chiesa a croce latina con monastero. Ed ebbe poi due diverse denominazioni, </CSR_8:Content_0><CSR_9:Content_0>Santo Stefano de Maxima</CSR_9:Content_0><CSR_10:Content_0> e </CSR_10:Content_0><CSR_11:Content_0>Santa Maria in Formosa</CSR_11:Content_0><CSR_12:Content_0>; nel Quattrocento il complesso fu ristrutturato con l’originario titolo e vi entrarono le </CSR_12:Content_0><CSR_13:Content_0>Benedettine</CSR_13:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_14.Content_1	Si ebbe una nuova ricostruzione nel Seicento con i fondi di <CSR_15:Content_0>Beatrice Torres</CSR_15:Content_0><CSR_16:Content_0>, sorella della badessa, ed il progetto fu elaborato da </CSR_16:Content_0><CSR_17:Content_0>Orazio Torriani</CSR_17:Content_0><CSR_19:Content_0>Giovan Battista Mola</CSR_19:Content_0><CSR_20:Content_0> e </CSR_20:Content_0><CSR_21:Content_0>Carlo Maderno</CSR_21:Content_0><CSR_22:Content_0>. Nel 1814 alle Benedettine subentrarono le Clarisse, e nel 1860 i </CSR_22:Content_0><CSR_23:Content_0>Benedettini Sublacensi</CSR_23:Content_0><CSR_24:Content_0>. Dopo il 1870 il complesso fu espropriato dallo Stato italiano, ma successivamente la chiesa ed una parte del monastero furono restituiti ai Benedettini, mentre il resto del complesso passò al Comune di Roma - Roma Capitale.</CSR_24:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_24.Content_1	Nel refettorio si trova un affresco attribuito ad <CSR_25:Content_0>Antoniazzo Romano</CSR_25:Content_0>
Story_I.PSR_97.CSR_0.Content_0	Confessioni (V, 8,14 - 9,17)
Story_I.PSR_97.CSR_1.Content_0	DA CARTAGINE A ROMA E MILANO<CSR_3:Content_0>Trasferimento a Milano e incontro con Ambrogio</CSR_3:Content_0>
Story_I.PSR_98.CSR_1.Content_0	Perciò, quando il prefetto di Roma ricevette da Milano la richiesta per quella città di un maestro di retorica, con l’offerta anche del viaggio con mezzi di trasporto pubblici, proprio io brigai e proprio per il tramite di quegli ubriachi da favole manichee<CSR_2:Content_0>, da cui la partenza mi avrebbe liberato a nostra insaputa, perché, </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>dopo avermi saggiato in una prova di dizione, il prefetto del tempo, Simmaco, m’inviasse a Milano. Qui incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino.</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0> A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Quell’uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo.</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza. </CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche, non però mosso dalla giusta intenzione: volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore. Stavo attento, sospeso alle sue parole, ma non m’interessavo al cont</CSR_7:Content_0><CSR_7:Content_1>enuto, anzi lo disdegnavo. La soavità della sua parola m’incantava. Era più dotta, ma meno gioviale e carezzevole di quella di Fausto quanto alla forma; quanto alla sostanza però, nessun paragone era possibile: l’uno si sviava nei tranelli manichei, l’altro mostrava la salvezza nel modo più salutare.</CSR_7:Content_1><CSR_8:Content_0> Ma la salvezza è lontana dai peccatori, quale io ero allora là presente. Eppure mi avvicinavo ad essa sensibilmente e a mia insaputa.</CSR_8:Content_0>

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Story_I.PSR_8.CSR_0.Content_0	È il primo dei due riquadri del registro basso della parete di destra e raffigura <CSR_1:Content_0>Agostino</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0> che svolge il suo incarico di insegnante di retorica a roma, città identificabile anche grazie all’inserimento del paesaggio al di là della finestra di destra, in cui si risconoscono la Piramide Cestia e Porta San Paolo.</CSR_2:Content_0>
Story_I.PSR_8.CSR_2.Content_1	La didascalia in basso, riporta il soggetto: <CSR_3:Content_0>[quemadmodum augustinus...] magna precipuorum virorum frequentia ac scholastic[h]orum consessu grec[h]a in schola publice retoricham ac philosophiam legebat.</CSR_3:Content_0>
Story_I.PSR_8.CSR_4.Content_0	Il professore è seduto su una splendida cattedra lignea, chiusa in alto da un motivo a conchiglia, elemento decorativo rinascimentale che fa da fulcro di un’ennesima composizione tipicamente quattrocentesca, caratterizzata da un pavimento a riquadri colorati, soffitto a casettoni, e soprattutto da pilastri con capitelli corinzi che sostengono una trabeazione sopra la quale si ammirano riquadri in profido e serpentino con al centro busti classici, spartiti da lesene, che rimandano ad architetture degne della Roma d’età imperiale.
Story_I.PSR_8.CSR_4.Content_1	Molto interessante, inoltre, il dettaglio della didascali che riporta l’espressione “schola grecha”, con cui era identificata Santa Maria in Cosmedin, considerata il luogo in cui Agostino tenen le sue lezioni romane, secondo una tradizione evidentemente già nota a questa data, ma allo stato attuale degli studi documentata almeno dal 1518 dall’<CSR_5:Content_0>Itinerarium Urbis Romae</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> di Mariano da Firenze, poi spesso ripresa dal XVII secolo a partire dal </CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Tempio eremitano</CSR_7:Content_0><CSR_8:Content_0> di Staibano (1608, I, p. 9). Tale inserimento, peraltro, confemerebbe i legami con le miniature di Bartolomeo Rustichi e con un eventuale prototipo comune ai due cicli (v. scheda n. 109, 2).</CSR_8:Content_0>
Story_I.PSR_80.CSR_0.Content_0	Nel 1934 il beato <CSR_1:Content_0>Don Giacomo Alberione</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0>, Fondatore della Pia Società San Paolo, aderisce alla richiesta del Vicariato di Roma di costruire una chiesa in questo quartiere chiamato “Montagnola di San Paolo”, e nel 1936 ne propone il titolo di «Gesù Buon Pastore».</CSR_2:Content_0>
Story_I.PSR_80.CSR_2.Content_1	Il 10 settembre 1943 ha luogo la storica <CSR_3:Content_0>Battaglia della Montagnola</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>: è il sanguinoso scontro tra le forze dominanti tedesche e la “resistenza” romana (militari come i granatieri, i bersaglieri e i carabinieri, ma anche molta gente del “popolo”) in conseguenza del quale morirono 56 persone (45 militari e 11 civili). La memoria dei “Caduti della Montagnola” è onorata con un parco dedicato proprio dinanzi alla chiesa parrocchiale; del resto Pio XII aveva approvato il titolo di </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Tempio Nazionale dei Caduti</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> all’erigenda Chiesa Parrocchiale.</CSR_6:Content_0>
Story_I.PSR_80.CSR_6.Content_1	Il 10 marzo 1963, la Parrocchia riceve la visita del Santo Papa Giovanni XXIII.
Story_I.PSR_80.CSR_6.Content_2	Ad oggi la parrocchia è affidata al clero secolare della Diocesi di Roma.
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Story_I.PSR_92.CSR_0.Content_0	10. 18. Così mi guaristi da quella infermità e salvasti il figlio dell’ancella tua, allora e per allora fisicamente, per avere poi a chi porgere una salvezza più preziosa e sicura. Però <CSR_1:Content_0>anche a Roma mi tenevo in contatto con quei falsi e fallaci santoni</CSR_1:Content_0><CSR_2:Content_0>: non solo cioè con gli uditori, fra i quali si annoverava pure chi mi ospitò malato e convalescente, bensì con gli eletti, come son chiamati. </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>Ero tuttora del parere che non siamo noi a peccare, ma un’altra, chissà poi quale natura pecca in noi. Lusingava la mia superbia l’essere estraneo alla colpa, il non dovermi confessare autore dei miei peccati affinché tu guarissi la mia anima rea di peccato contro di te. Preferivo scusarmi accusando un’entità ignota</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>, posta in me stesso senza essere me stesso, mentre ero un tutto unico e mi aveva diviso contro me stesso la mia empietà. Ed era un peccato più difficile da sanare il fatto che non mi ritenessi peccatore; ed era un’empietà esecrabile il preferire, Dio onnipotente, la tua sconfitta dentro di me, per mia rovina, alla mia sconfitta di fronte a te, per mia salvezza. Non avevi ancora collocato una custodia alla mia bocca e la porta del ritegno sulle mie labbra, affinché il mio cuore non uscisse in parole maligne per offrire scuse da scusare i peccati insieme a uomini che operano il male. </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Perciò me l’intendevo ancora con i loro eletti, sebbene non sperassi più di progredire in quella falsa dottrina.</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> Anzi tenevo ormai con minore impegno e cura la posizione stessa ove avevo deliberato di stare pago, se non trovavo nulla di meglio.</CSR_6:Content_0>
Story_I.PSR_93.CSR_0.Content_0	Misfatti degli studenti romani
Story_I.PSR_94.CSR_1.Content_0	Iniziata volenterosamente l’attività per cui ero venuto a Roma, ossia l’insegnamento della retorica, dapprima adunai in casa mia un certo numero di allievi, ai quali e grazie ai quali cominciai a essere noto; quand’ecco vengo a conoscere altre abitudini di Roma, che non mi affliggevano in Africa.<CSR_2:Content_0> Certo ebbi la conferma che là non si verificavano i famigerati disordini degli scolari depravati. Tuttavia fui anche avvertito che </CSR_2:Content_0><CSR_3:Content_0>improvvisamente, per non versare il compenso al proprio maestro, i giovani si coalizzano e si trasferiscono in massa presso altri, tradendo così la buona fede e calpestando la giustizia per amore del denaro.</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0> In cuor mio cominciai a odiare anche costoro, ma non di un odio perfetto: probabilmente li odiavo più per il danno che avrei subìto io, che per il modo illegale con cui agivano verso gli altri. Certo è che si tratta di individui immondi, i quali trescano lontano da te, amando un oggetto evanescente, trastullo del tempo, e un lucro fangoso, che a stringerlo insozza le mani; aggrappandosi a un mondo fugace, e disprezzando te, che stabile lanci il tuo richiamo e perdoni la meretrice anima umana che a te ritorna. </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Ora odio questa gente malvagia e corrotta, ma l’amo anche, per correggerla e farle anteporre al denaro la dottrina che impara, e quindi alla dottrina te, Dio, verità, fecondità di bene sicuro e castissima pace; invece allora cercavo di evitare le sue cattiverie per amor mio, anziché di migliorarla per amor tuo.</CSR_5:Content_0>
Story_I.PSR_95.CSR_0.Content_0	Sant’Ambrogio della Massima
Story_I.PSR_96.CSR_0.Content_0	Sorge presso il Portico d’Ottavia, e l’appellativo Massima gli deriva dal vicino sbocco della Cloaca Massima nel Tevere. <CSR_1:Content_0>Fu eretta, secondo la tradizione, sulla casa paterna del santo che qui vi avrebbe vissuto con la madre e la sorella Marcellina, prima di essere trasferito come console a Milano, dove poi divenne vescovo.</CSR_1:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_14.Content_1	Si ebbe una nuova ricostruzione nel Seicento con i fondi di <CSR_15:Content_0>Beatrice Torres</CSR_15:Content_0><CSR_16:Content_0>, sorella della badessa, ed il progetto fu elaborato da </CSR_16:Content_0><CSR_17:Content_0>Orazio Torriani</CSR_17:Content_0><CSR_19:Content_0>Giovan Battista Mola</CSR_19:Content_0><CSR_20:Content_0> e </CSR_20:Content_0><CSR_21:Content_0>Carlo Maderno</CSR_21:Content_0><CSR_22:Content_0>. Nel 1814 alle Benedettine subentrarono le Clarisse, e nel 1860 i </CSR_22:Content_0><CSR_23:Content_0>Benedettini Sublacensi</CSR_23:Content_0><CSR_24:Content_0>. Dopo il 1870 il complesso fu espropriato dallo Stato italiano, ma successivamente la chiesa ed una parte del monastero furono restituiti ai Benedettini, mentre il resto del complesso passò al Comune di Roma - Roma Capitale.</CSR_24:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_2.Content_0	La casa fu anche la sede della comunità religiosa della sorella <CSR_3:Content_0>Marcellina</CSR_3:Content_0><CSR_4:Content_0>, ma successivamente divenne proprietà di tale </CSR_4:Content_0><CSR_5:Content_0>Maxima</CSR_5:Content_0><CSR_6:Content_0> che, sotto il pontificato di </CSR_6:Content_0><CSR_7:Content_0>Leone III</CSR_7:Content_0><CSR_8:Content_0> (795-816), vi fece costruire una chiesa a croce latina con monastero. Ed ebbe poi due diverse denominazioni, </CSR_8:Content_0><CSR_9:Content_0>Santo Stefano de Maxima</CSR_9:Content_0><CSR_10:Content_0> e </CSR_10:Content_0><CSR_11:Content_0>Santa Maria in Formosa</CSR_11:Content_0><CSR_12:Content_0>; nel Quattrocento il complesso fu ristrutturato con l’originario titolo e vi entrarono le </CSR_12:Content_0><CSR_13:Content_0>Benedettine</CSR_13:Content_0>
Story_I.PSR_96.CSR_24.Content_1	Nel refettorio si trova un affresco attribuito ad <CSR_25:Content_0>Antoniazzo Romano</CSR_25:Content_0>
Story_I.PSR_97.CSR_0.Content_0	Confessioni (V, 8,14 - 9,17)
Story_I.PSR_97.CSR_1.Content_0	DA CARTAGINE A ROMA E MILANO<CSR_3:Content_0>Trasferimento a Milano e incontro con Ambrogio</CSR_3:Content_0>

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